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Racconto

Se potesse scrivere, le parole della mia bambina prematura sarebbero queste:

Mi chiamo Cecilia e sono la gemella di Lorenzo. Fino a pochissimo tempo fa nuotavo felice nella pancia della mia mamma, insieme al mio fratellino, che sentivo accanto a me. Sono cresciuta ascoltando il battito del cuore della mamma, e al mio fianco quello del mio gemello. La mamma diceva sempre che eravamo tre cuori in un’unica persona!

Spesso, col mio fratellino ci davamo i calci per stare un po’ più larghi, soprattutto quando la mamma ascoltava la musica. Sentivamo la sua voce sempre, i suoi movimenti che ci cullavano, le sue carezze e i baci del papà sul pancione.

Era tutto bellissimo. Ci sentivamo protetti e tanto amati.

Poi la mamma ha iniziato a non stare bene di salute, anche se ci ha sempre detto che siamo tutti forti e abituati a lottare. Io e Lorenzo avevamo le testoline in basso, e ad un certo punto abbiamo deciso di vedere il mondo prima degli altri bimbi, che aspettano in pancia perfino nove mesi!

Noi no, sentivamo che era il momento giusto per uscire, e così siamo nati con un parto naturale a 30 settimane più 5 giorni (così dicono gli adulti).

È strano il mondo che abbiamo visto, non è più quello che conoscevamo. Noi pensavamo di nascere e di avere mamma e papà accanto a noi, e anche i nostri due cani che abbiamo sempre sentito abbaiare festosi. Invece, in sala parto ci hanno separato dalla mamma, che non abbiamo neanche visto per un attimo. Ci hanno portati via, velocemente, finché siamo arrivati in una stanza strana, calda, che i grandi chiamano “Resuscibaby”. Lì ci hanno messo tantissimi tubi dappertutto: uno dentro la bocca che finisce nello stomaco, un altro che arriva fino ai polmoni, altri ancora nelle braccia, dentro le nostre piccolissime vene.

C’erano tantissime voci, tantissime mani, ma quelle della mia mamma no. Neanche la sua voce sentivo più. Il mio fratellino era accanto a me ma poi mi hanno diviso anche da lui.

Siamo entrati in una specie di utero molto strano, che si chiama “incubatrice”. Ha un telo scuro, sopra, per pararci dalla luce. È calda e attutisce i rumori di fuori, che sono tanti bip, bop, bup. Anche le luci sono strane: verdi, rosse, gialle.
Non ho capito più niente. Io credevo che nascere sarebbe stato abbracciare la mamma, sentirla, toccare con le manine mio fratello. Invece, dove sono finita? Di chi sono le altre voci? Chi è che mi tocca, mi lava e mi fa male quando tutti i giorni devo fare delle cose che chiamano “terapie”? Non lo so.

Sono da sola. Devo vivere da sola perché non so cosa stia succedendo al mio corpicino martoriato dai fili.

Poi è tornata la mamma! Dopo quattro ore dal parto è corsa da noi. Ci ha stretto le manine ed io e Lorenzo ci siamo arpionati al suo indice. Ci ha spiegato che i medici ci cureranno, ci aiuteranno e ci salveranno la vita. Che lei è sempre con noi anche se non proprio tutto il giorno. Che nei momenti in cui non c’è siamo protetti sempre da Gesù e non siamo mai soli.

Per giorni abbiamo sentito solo la sua voce. Le dicevano cosa poteva e non poteva fare, o quando poteva toccarci attraverso l’oblò.

Finalmente, poi, è arrivato il giorno in cui siamo stati per la prima volta in braccio a lei. Ho ritrovato il suo cuore, il suo calore, i suoi occhi. Ho sentito la sua voce vicina vicina alle mie piccole orecchie, e ho sentito anche mio fratello, in braccio accanto a me. L’ho guardato, lui mi ha guardata. Gli ho toccato la faccia, poi gli ho stretto il braccio.

Quando siamo tutti e due in braccio a mamma, ci teniamo sempre per mano. I nostri piedini si ritrovano vicini, ed è bellissimo. Solo che dura tanto poco. Non più di due ore al giorno. E non so mai se il giorno dopo mamma potrà prendermi in braccio oppure no.

Una cosa molto brutta che ho vissuto è stata quando sono dovuta stare sotto una lampada di luce che mi avrebbe abbassato “i valori di bilirubina”. Mi hanno coperto gli occhietti, non potevo vedere più niente. Ho sentito che la mamma arrivava e allora sono scoppiata a piangere, perché il giorno prima ero in braccio a lei e adesso invece non potevo più vederla, né sentire il suo cuore. Ho provato a strappare tutte le bende che mi impedivano di guardarla negli occhi, ma la mia forza non bastava e, per quanto tirassi, nulla si è mosso. Lei mi ha rassicurato tanto, tenendomi per mano e parlandomi per ore, finché mi sono tranquillizzata e addormentata. È stato davvero bruttissimo.

Mi chiedo perché la mia mamma non sia sempre con me, perché il mio fratellino sia lontano chissà dove. Quando ritrovo il papà, o la mamma, o Lorenzo sono felice. Mamma e papà mi dicono sempre che sono fieri di noi perché sappiamo già combattere e vincere ogni giorno. Ma ci sarà mai un giorno in cui nessuno ci separerà? Imparerò a mangiare con il biberon, visto che non riesco a succhiare, e per adesso è un sondino che mi porta il latte di mamma nel pancino? Il mio stomaco sarà in grado di farcela? I miei polmoni impareranno a respirare da soli? Crescerò come gli altri bambini o resterò sempre piccola e fragile così?

Mamma mi rassicura ed è piena di gioia. Lei a casa rideva sempre e sento che mi sorride anche qua. Certo, è strano, perché, per adesso, per me è questo “il mondo di fuori”. Sento, però, che esiste un altro mondo, uno più bello, dove tutti ci ritroviamo insieme nella casa dove nella pancia sentivamo la nostra famiglia sempre unita e felice.

Sono una bambina tenace, ascolto papà e mamma e combatto per vivere. Quelle poche ore che sono in braccio a loro, o che ritrovo il mio fratellino, mi danno la certezza che il tempo si allungherà anche per me, e che potrò prima o poi vivere al di fuori di questa roulotte con gli oblò, come la chiama mamma.

Prima o poi, staremo sempre di più insieme, sempre di più in braccio, e imparerò a conoscere la luce del sole, la pioggia che mi piaceva tanto nel pancione, e forse anche la neve.

Grazie, Gesù, per questa mia piccola vita. So che Tu, che sei stato Bambino come me e come Lorenzo, ci sei vicino e ci aiuti ogni giorno a respirare, a mangiare, a resistere. Però ti prego, fammi stare presto con la mia mamma, con il mio papà e con il mio gemellino, perché ho bisogno del loro abbraccio e perché mi mancano proprio tanto.

Cecilia
Con la sua mamma Paola Alciati